Si avvicina l'anniversario della caduta del Muro, e a Mosca una
mostra e un libro ricordano i protagonisti della strada, quei giovani
della perestrojka che con creatività chiedevano un cambiamento, molto
prima di Gorby
MOSCA – I nostri cuori reclamano il cambiamento/I nostri occhi
pretendono il cambiamento/Nelle nostre risate e nelle nostre lacrime,
nelle nostre vene pulsa il cambiamento – è il 1987, il rocker Viktor
Tsoj canta nella scena clou del film Assa. Entrambi, film e cantante,
emblema di un’epoca, “culto” per un’intera generazione. Quella dei
giovani sovietici sospinti dal vento della perestrojka. Band
leggendarie come Kino, Zvukj Mu, Nautilus Pompilus, E.S.T., gli artisti
Timur Novikov e “Afrika”, la divina “marziana pop” Aguzarova. E dietro
di loro, ben prima dell’89, migliaia che si esaltavano sotto il palco
ai concerti, inventavano mode e stili, sovvertendo i canoni della vita
sovietica. Biker, teddy boys, new wavers, metallari, punk, rockers,
destrorsi "Oi", rockabilly e psychobilly e i loro antenati “styliagi”,
patiti del jazz e del look “americano” nell’Urss anni 50. Vent’anni dopo la caduta del Muro, a Mosca una mostra e un libro li
celebrano. Hooligans ’80 di Misha Baster (a cura dell’agenzia T.C.I.,
www.tci.ru), 800 foto da archivi privati mai pubblicate, 40 interviste
ai protagonisti di quella straordinaria stagione: “Il più grande
festival di disobbedienza giovanile della storia, l’epoca più libera
per la Russia”. Allegro, ironico e spavaldo, tra protesta romantica e
avventura, bullismo e provocazione: “Eccomi qua con la cresta punk -
dice Baster. - Avevo 15 anni, e non capivo nulla di politica. Ma
eravamo i primi giovani sovietici ad assaporare la libertà”. Gli
alternativi nell’Urss ci sono sempre stati, ma erano nascosti,
perseguitati, repressi, spiega l'autore. Con la perestrojka tutto
cambia. Controllo e censura si allentano. Un’onda di “diversi” invade
le strade, da Mosca a Sverdlovsk a Leningrado, epicentro del movimento:
“Credevo di essere l’unico con la cresta, al festival della gioventù
del 1985 capii che eravamo tantissimi. Nell’88 vidi dei biker sulla
Piazza Rossa, con le loro Harley Davidson”. Dove diavolo le avevano
prese? Erano quelle portate dai nonni come trofeo dalla guerra in
Europa. Si va a caccia di abiti e musica straniera al mercato nero: già
dalla fine dei ‘70 filtravano David Bowie e Talking Heads, giacche
portate dai turisti italiani. “Il problema maggiore erano le scarpe:
trovarne di buone era difficilissimo. Eravamo poveri, con poche
informazioni dall’esterno, così ci arrangiavamo con quello che c’era, e
finimmo per creare qualcosa di nuovo e unico”. Il punto non era copiare
l’Occidente, ma andare contro il grigiore e l’uniformità del “brutale
uomo sovietico”. Ecco gli aristo-punk, caricatura dei burocrati: nei
negozi riservati all’elite del Partito rubano eleganti abiti “retro” e
li accoppiano a capelli tinti in casa. I punk inglesi lottavano contro
il capitalismo, e quelli russi? Il sistema, la nomenklatura, la vita
noiosa, l’ingiustizia sociale. Gli “avanguardisti” invece si rifanno ai
primordi della Rivoluzione, utopici e audaci. Nel 1988 inscenano una
performance all’Asilo a Mosca, un grande squat giusto accanto a una
scuola del kgb di cui nessuno conosceva l’esistenza. Pro-occidente?
“Solo in parte. L’obiettivo era la libertà, l’espressione individuale”.
Nel 1987 gli Aquarium cantano “Generazione di spazzini e portieri”,
rifiutando l’etica del lavoro socialista. Un anno dopo l’umore è
cambiato: “Questo treno sta bruciando, e non abbiamo nessun posto dove
fuggire”. Polizia e kgb tornano a colpire le subculture: “Il crollo
dell’Urss era vicino ma non lo sapevamo, né capivamo la valenza
“politica” dei nostri gesti. Reagimmo con rabbia e nichilismo”. Certo,
non tutti: c'erano ancora i Komsomoltsy, i giovani che sognavano una
carriera nel partito sebbene in agonia, e facevano a botte con gli
"alternativi", vere e proprie spedizioni punitive, specie dalle
campagne. A scuola si portava ancora la divisa da pionieri, ma il
fazzoletto rosso non lo metteva quasi più nessuno. “Fu un’epoca di euforia, enormi speranze e aspettative - ricorda Eduard
Ratnikov, editore del libro e organizzatore di concerti di star
internazionali in Russia. – Improvvisamente tutto pareva possibile.
Dopo quel sepolcro imbiancato di Andropov, Gorby ci disse: Vi abbiamo
dato la libertà, adesso usatela. Nell’89 ogni giorno c’erano riunioni,
concerti, meeting. Poi di botto finì tutto. Al vecchio mondo si
sostituì quello nuovo basato sul denaro. Non era quello che sognavamo”.
Nel 1991, dopo il golpe vede il tricolore russo sventolare sul Cremlino
invece della falce e martello: “Pensai di avere la traveggole: credevo
che l’Urss sarebbe durata per sempre”. I suoi compagni di strada? C’è
chi è diventato milionario e chi fa il poliziotto, chi è emigrato negli
States. Moltissimi sono morti nel turbine dei 90, tra criminalità e
droga: “Non eravamo abituati a rispondere delle nostre azioni”.
Lucia Sgueglia
Martedi' 21 Aprile 2009
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